street Art 2018

Intervista a ROBOCOOP

 

Il progetto ROBOCOOP, acronimo di RomaBolognaCooperazione, nasce come collettivo capace di inserirsi nel contesto urbano della città attraverso differenti forme, una Street Art autonoma e polivalente. Inizialmente, dunque, la scelta di questi due artisti di non mostrare il proprio volto è stata dettata dall’illegalità del loro lavoro. Interventi notturni, nascosti, che trovano luce nella vita di tutti i giorni.

Al di là delle modalità con cui decidiamo di esprimerci, non sentiamo la necessità di legare un volto alla nostra opera. Preferiamo che questa si esprima per entrambi, in toto. Poiché lavoriamo in due, abbiamo trovato un acronimo che fosse legato a entrambe le personalità, al di là dei nostri nomi e cognomi. L’anonimato, quindi, serve per definire un progetto in un certo senso collettivo, e negare un’identità fisica singolare.

Un’identità inequivocabile, una Street Art forte di ricerca e tecnica. Le opere di ROBOCOOP fondono le icone dell’architettura moderna all’interno di opere appartenenti ad epoche passate. Rimandi, stravolgimenti, nuovi equilibri e nuove dimensioni creano a loro volta spazi nuovi, nuove riflessioni offerte in maniera lampante sui muri delle città. Su tutte, Roma.

Roma è dove è nato il nostro progetto, per cui è principalmente sui suoi soggetti architettonici che ci piace lavorare. Come la città è una miscellanea di stili, anche noi operiamo su soggetti classici, barocchi, contemporanei. “Innesti” ad esempio, l’esposizione da noi realizzata a dicembre 2016, riguarda proprio questo. Siamo partiti da studio e considerazioni sulle opere di Giovan Battista Piranesi, riguardanti la romanità. Poi, le abbiamo mixate ad una realtà architettonica della seconda metà del Novecento. Teniamo molto in considerazione anche il contesto urbano in cui si insediano le architetture più caratteristiche, i quartieri, i viali, e via dicendo.

La questione degli spazi cittadini sta tuttavia cambiando prospettiva negli ultimi anni. La Street Art è stata ormai istituzionalizzata, entrando in punta di piedi nei musei e lo stesso progetto “Innesti” di ROBOCOOP è stata un’esposizione di arte urbana all’interno di uno spazio espositivo.

Si tratta di un tema attualissimo. L’esempio più vicino è la personale che Palazzo Cipolla ha dedicato a Banksy. In questo caso, però le dinamiche sono più complesse. La sua figura è passata, non per suo volere, da un fenomeno della Street Art a qualcosa che oggi è molto diverso. Questo progetto è diventato un prodotto commerciale a tutti gli effetti, vi è dietro una forma di marketing che è relativa all’arte contemporanea. Ci sarebbe molto da dire riguardo l’argomento arte urbana nelle gallerie. La Street Art oggi ha davvero tante definizioni. “Innesti”, è stata la nostra prima esposizione legale ed autorizzata. Prima di allora, abbiamo sempre lavorato sulla strada, o in festival dedicati alla Street Art. Quello che cerchiamo di fare è rimanere fedeli a un progetto nato in città, per la città. È legato alle sue architetture e alla strada. Quindi è molto importante cercare di mantenere sempre tale dimensione, al di là delle polemiche. Nel caso di “Innesti”, lo spazio espositivo si prestava a non allontanarci eccessivamente dalla strada. La galleria, nel quartiere Monti a Roma, ha un grande portone che permetteva di osservare già dall’esterno – dalla strada – l’intervento finale site-specific. La galleria, perciò, diveniva una prosecuzione naturale dello spazio urbano, quindi l’opera non è rimasta avulsa dalla dimensione street del nostro lavoro. Questo per noi è stato un aspetto importante che ci ha permesso una connessione coerente con il nostro lavoro. Riguardo il progetto ROBOCOOP, quindi, il desiderio è quello di portarlo avanti senza perdere l’identità originaria di street artist con la quale nasciamo, ma siamo aperti anche a parentesi espositive, a sperimentare e a vivere i nuovi tempi che la street art sta vivendo in questa sua nuova, significativa, fase.