ogni tanto bisogna godersi il SILENZIO.

Diario di Sofia Podestà

A cura di: Nicola Brucoli, Nicola Aprile

Piove, ma tanto sarei rimasta a casa a studiare. Stiamo vivendo una situazione paranormale, ma tutto sommato sono serena. Una mia amica dice che sembra un film catastrofico ambientato a New York e invece è Roma. Ho passato la prima settimana in angoscia a leggere numeri e aggiornamenti, poi non riuscivo a dormire e ho detto basta, mi aggiorno di settimana in settimana. Troppe informazioni, numeri su numeri, alla lunga perdi il senso, perdi la scala di grandezza.
Sono state varie cose a farmi chiudere in me stessa. Invece di pensare a quello che mi sto perdendo chiusa in casa ho voluto capire come potessi impiegare in modo positivo questo tempo, così ho iniziato a leggere tutti i libri che mi ero comprata e che, tra lavoro e altre cose, si erano accumulati. Finalmente adesso me li sono studiati. Mi ero comprata un librone di Gursky, tutto in inglese, bellissimo, la sua ultima mostra a Londra, l’ho letto sulla scrivania con il foglio di appunti e mi si è aperto un mondo. Anche Calvino me lo sono riletto, l’avevo già fatto in passato prima di dormire, ma non te lo puoi leggere prima di dormire. Trainspotting di Irvine Welsh, quello sì che va bene prima di chiudere gli occhi.
Ho cibato in questo modo il mio cervello. Era dallo scorso anno, quando ho fatto la mostra sul Cile, che stavo spaparanzata sugli allori, nel senso che avevo concluso un grande capitolo e poi mi ero detta “e adesso?”. Perciò sto leggendo, studiando, cercando di farmi venire qualche altro click in testa.
Prima dell’emergenza anche nella domenica piovosa di Novembre, quando finalmente eri libera dal lavoro, andavi a prendere una birra o vedevi qualcuno. Ora sei costretto a non farlo e, per fortuna, so stare da sola. Da piccola ho odiato stare tanto tempo da sola ma adesso mi è tornato utile.
Inizialmente sei costretto a fare questo esame di coscienza che nessuno vuole fare. Ti ritrovi in camera obbligato a pensare, a un certo punto fai pace con te stesso, con la tua psiche, e vai avanti. Elimini le cose che ti fanno stare in ansia e vivi la bolla. Io mi sto vivendo a pieno la bolla (ho iniziato a chiamarla così, non c’è altra definizione). Tutto sarà diverso da com’era, questa è una bolla di cui forse non ti accorgi, ma di cui ti accorgerai.
Non ho scattato nessuna fotografia, se non una, da camera mia. Un’unica foto alle finestre del palazzo di fronte. C’è una che ha un appendiabiti con la testa e le spalle, con una faccina appiccicata. Ho visto questa cosa che mi sorrideva e il cervello ha fatto click. Una sorta di scheletro affacciato che mi guardava dalla finestra di fronte. Per il resto zero, mi sono accorta che la cosa che mi manca di più è guardare lontano, l’occhio che si sforza di guardare oltre. Infatti dalla ricerca nel mio archivio mi sto orientando sulle vedute da lontano, quello che in questo momento non ho.
Dopo quindici giorni di quarantena sono salita all’ultimo piano, ho guardato il panorama dalle antenne che arrivava fino a Città Giardino e mi si è aperto il cuore. Io sto al terzo piano, non ho grandi vedute panoramiche. Per il resto ho un giardino condominiale su cui si affacciano tutte le case, pieno di alberi e di verde ma certo non mi dá l’effetto del guardare lontano, anche perché a casa stai al telefono, al computer, al televisore o leggi. Perciò quando guardi più in lá senti che l’occhio si sforza perchè non è più abituato. Un po’ come quando parlo di Matematica.
Il discorso che fanno molti sull’essere “più uniti grazie alla quarantena” si poteva fare la prima settimana con la musica alle 18 e gli applausi, erano cose emozionanti e ti sentivi parte di una comunità che adesso si è spenta. Tranne per lo stereo dei miei vicini che continua imperterrito.
Il primo mese ho visto persone che pubblicavano nuovi progetti, parlavano, postavano foto fatte nel tragitto casa-supermercato, foto su google maps, e mi sono chiesta se io fossi davvero una persona creativa. Possibile che se non sono in Cile non produco niente?
Semplicemente io non sono così, ho bisogno di metabolizzare, anche quando torno dai viaggi ho bisogno di tempo per mettere insieme le fotografie, di quello della scorsa estate sto scoprendo adesso il filo conduttore, forse perché ho riletto Calvino.
Per le prime due/tre settimane mi sono comprata un libro da colorare e sono stata lì. Cervello completamente resettato. Solo una volta che sei rilassata puoi pensare di produrre qualcosa di nuovo. Infatti sento che il cervello mi si sta rimettendo in una condizione di progettazione futura.
Dopo la quarantena, nell’ambito della fotografia inizierà una manciata infinita di progetti che parlano del sé. Ritratti, autoritratti, è un momento in cui ognuno si ritrova chiuso in se stesso. Poi un riguardare i luoghi vicini, se non si può uscire dalla propria regione, ci sarà un’analisi più approfondita della quotidianità. Fotografie del tuo quartiere, una ricerca più ghirriana, questa potrebbe essere un’evoluzione. Sono due analisi necessarie, io stessa ho riguardato il mio cortile con altri occhi. Già lo avevo fotografato con la neve, ma la neve è una cosa particolare, adesso è la banalità del giardino dove sono cresciuta. Oppure la scuola elementare che ho qua davanti. 
L’unica cosa che mi dà fastidio di questa quarantena è che il 2020 era partito una bomba, sentivo che stavo cambiando visione e avevo ripreso a fotografare tantissimo, e poi niente, il blocco. La settimana prima del lockdown ero andata a Campo Imperatore a fare foto al paesaggio sotto un’ottica geometrica, l’architettura all’interno del paesaggio naturale, ero molto carica. Invece chiusura totale e sono rimasta con questa cosa sospesa.
Prendo questo tempo per teorizzare le ricerche che ho iniziato a fare, posso studiare ancora, sono sempre dell’idea che senza lo studio non si crei nulla.
Avevano aperto la mostra di Basilico al Palazzo delle Esposizioni, mi ero detta “ora vado, ora vado” e ovviamente non ci sono andata. Ho visto che hanno messo i materiali online, può essere comunque un modo per fruirne.
Ho trovato alcune foto che mi hanno fatto riflettere sul guardare da lontano. Una foto del 2013 che mi fece capire che il mio ambito era il paesaggio più che il ritratto. Un paesaggio al tramonto, dopo una scarpinata di tre ore. Dodici ore prima ero a Roma, perciò avevo avuto questo shock. “Roma d’agosto, non è un bel posto”, e in quel momento mi trovavo lì, davanti a un panorama quasi da era geologica con un orizzonte infinito. Poi le foto del Cile, del deserto. Ci sta questo villaggio, me lo ricordo con felicità e nostalgia, è un crocevia di viaggiatori, tutta gente con lo zaino in spalla, fai amicizia subito con le persone, trovi quella leggerezza d’animo che adesso è latente, in quel momento invece c’era lo spirito di conoscere persone, fare le cose insieme. Avevamo conosciuto un gruppo con cui abbiamo fatto un’escursione in un parco chiuso, convinti che ci avrebbero multati, ma c’era quella leggerezza dell’essere che adesso inevitabilmente non si trova.
II fatto di cucinare durante la quarantena mi è indifferente, mia madre ogni domenica faceva una torta diversa, già da prima. Vedendo tutte queste torte dicevo “pivelli, io sono abituata”. Adesso non c’è solo quella della domenica ma anche la torta infrasettimanale. Ho provato a fare ginnastica…che fallimento che sono. Però ho iniziato a fare giri del giardino sotto casa. Oppure per una settimana facevo avanti e indietro sulle scale, otto piani ogni giorno. Sono due settimane che non lo faccio più, ieri ci ho riprovato e stavo morendo.
Ci sono giornate in cui rimango chiusa dentro la mia camera, spengo i dati del telefono e mi concentro a fare una sola attività, leggere un libro o fare un puzzle, perché a un certo punto non mi va più di parlare, le cose da dire sono quelle e ogni tanto bisogna godersi il silenzio.