uno schermo connesso con il resto del globo nelle TASCHE.

Intervista a Alain Parroni

A cura di: Ginevra Corso, Nicola Brucoli, Carlo Settimio Battisti

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Il tuo lavoro è crudo, vero, intenso. Piace perché racconta di te, di qualcosa originario e di un background condiviso. Saresti diverso se fossi cresciuto altrove? Il cinema è un modo per raccontare di noi?

Il Cinema con noi non c’entra poi così tanto. Siamo nati quando la televisione era un grande quadro piatto appeso al muro e quando tutti avevano, non solo un computer in casa, ma uno schermo connesso con il resto del globo nelle tasche. Raccontare storie che non siano incentrate alla volta dell’esperienza audiovisiva collettiva e che abbiano un senso narrativo nell’eccezione dell’intrattenimento, perde ogni scopo per una generazione cresciuta con Videogame, Social Network, YouTube, Porno, Selfie, Realtà Virtuale, Videoclip, Serie, Blog, V-log, Stampanti 3D, Wi-Fi, MEME, Reality e Talent Show, Web Challenge, DeepWeb, Fotografia di Massa, BitCoin, ChatRoulette, iperViolenza, Cloud, GIF, HASTAG, Battle Royal, Gameplay in live, SmartPhone, SmartWatch, Smar-Tv, SmartShoes, SmartLamp, SmartGlass, SmartHome, Smartcar, CarSharing, BikeSharing, e-commerce, aste online, App per il Food Delivery, navigatori GPS, streaming legale e streaming illegale, WebCam, Droni, Tablet, Like, Commenti, Match nelle App di Dating, Influencer, Haters, YouTuber, Twicher, Tiktoker, Gamer, FaceID, streaming musicale, sigarette elettroniche, email, chat, emoticon, emoji, avatar, nickname, Glitch, Bug, Virus e antivirus, fake news e così via… Siamo i figli del Post-Cinema. Siamo quelli germogliati quando il cinema era già stato accoltellato dalla TV, morto dissanguato e sepolto. Sarei sicuramente diverso se fossi cresciuto in un altro contesto.

Hai scelto di raccontare Adavede nello scenario della periferia romana. Una narrazione all’interno di una piccola realtà offerta a un vasto pubblico, per raccontare la nostra generazione anche attraverso scenari meno conosciuti. Quanto la cultura italiana c’è nel tuo racconto e che valore assume?

Ogni minuto vengono caricate su YouTube (una delle migliaia di app per lo streaming video) circa 300 nuove ore di filmati. Ciò significa che al termine di quest’intervista ci saranno in media 1500 ore nuovissime di filmati, che, se divise “cinematograficamente” sono pari a più o meno 800 film. Questi film oltre che raccontare, ogni minuto, una realtà dall’interno, hanno un pubblico che nessuna sala è mai stata in grado di ospitare, tra cui me stesso. 
Crescere connesso con il resto del mondo e vivere contemporaneamente in uno dei paesi più nutrienti del mondo qual è l’Italia, è la fortuna più grande che si possa avere per chi si cimenta nelle arti visive. Il mio vissuto appartiene quindi sia alle piccole e emotive situazioni del quotidiano esaurite nel contesto della Roma di campagna e/o cittadina, ma anche all’infinito del virtuale nello specifico della grammatica e del linguaggio.

Cosa significa cercare di unire ogni elemento visivo, ogni sensazione, in un racconto? E qual è la sensazione di vedere rappresentato qualcosa che ti appartiene?

Creare un film appartiene a uno dei più istintivi esercizi mnemonici che si possa fare. Delegare i nostri ricordi, le nostre sensazioni, le emozioni e i messaggi, ingigantendoli per gruppi di altre persone, al buio, ha a che fare con una ritualistica antica come l’uomo stesso. 
Cerco di rappresentare qualcosa di personale, intimo e viscerale con l’unico scopo che subito dopo la proiezione non mi appartenga più, che se ne vada a casa con chi è stato ad ascoltare, che diventi storia di qualcun altro, che ispiri, che educhi, che faccia riflette, che confonda e che, forse anche inconsapevolmente, diventi parte delle radici di chi, anche distrattamente, ha prestato l’occhio e l’orecchio, come una tempesta, un diluvio, nutriente.

Come pensi che il cinema italiano di domani supererà la competizione con quello iconico del passato?

L’unico modo per superare la competizione con il cinema del passato è essere sempre più consapevoli del mezzo che abbiamo scelto per raccontare. Non stiamo scegliendo di raccontare attraverso filmati di due ore circa ma stiamo optando per l’utilizzo di una tela che “ingrandisce gli uomini e le cose” e che viene osservata e ascoltata collettivamente da gruppi più o meno numerosi. Dobbiamo iniziare a vedere la sala come un’esperienza totalmente differente dalla TV o dallo streaming, quasi come se i due mezzi non avessero la possibilità di mostrare gli stessi contenuti.
Lo spazio della sala cinematografica è quindi uno luogo che dovrebbe esporre solo contenuti che esaltino l’esperienza sensoriale ed emotiva sfruttando le tecniche di riproduzione più all’avanguardia e innovative. Proiettare alcune pellicole al cinema, film che in pochi giorni o settimane sono già disponibili su una miriade di piattaforme e in paesi differenti, per quanto allettante, diseduca gli spettatori nei confronti dell’esperienza, indebolisce la forza della sala rilegandola appunto a uno dei tanti mezzi di riproduzione, di conseguenza la rende inutile e in un futuro non molto lontano, inutilizzata. Lo spazio, il luogo della sala ne definisce l’arte, così come un museo contiene solo un determinato tipo opere. Il Cinema è un’altra cosa.