sfuggente, agile e sempre in procinto di TRASFORMAZIONE.

Intervista a Giovanni Vetere

A cura di: Ginevra Corso, Nicola Brucoli, Carlo Settimio Battisti

C

Guarda il VIDEO

Giovanni Vetere: acqua. La prima associazione lampante sul tuo lavoro e sulla tua personalità. Perché la scelta di questo elemento originario, primitivo ed eterno per la tua ricerca artistica?

Non è stata una scelta, bensì un richiamo. L’acqua è un elemento sempre presente nella mia vita, sono cresciuto in barca e mio padre ha navigato per vent’anni. Essere in casa mi ha sempre dato la sensazione di trovarmi in una barca, l’odore del legno, i colori beige e blue, i quadri di mari in tempesta e naufragi. Inconsciamente ho assimilato informazioni, immagini e sensazioni marine sin dai primi anni della mia vita, mi addormentavo con la canzone “hey oh! little fish dont cry, dont cry!” dal film – Captains Courageou (1937) – di Victor Fleming. Mano per la mano nuotavo con mio padre alla ricerca di pesci e imparavo i loro nomi prima di conoscere la letteratura e i personaggi di storia.
Fluidità, adattabilità, dinamismo, ecc. L’acqua non ha un punto fermo, un valore prestabilito, un centro di gravità, ma è sfuggente, agile e sempre in procinto di trasformazione. Questo è ciò che cerco tramite la mia arte: qualcosa che vada contro i valori prestabiliti dalla società, contro ciò che mi hanno insegnato e contro le dichiarazioni che vengono trasmesse. Il mio lavoro come artista è quello di creare un nuovo mezzo di comunicazione, unico e personale, che promuova l’interrogazione delle credenze piuttosto che l’affermazione di regole e norme che si annidano nei nostri cervelli. 

Essere liquidi, fluidi, è una pratica quotidiana. Quali sono le difficoltà di chi vive e si esprime fluidamente? E quali invece le potenzialità?

Dal punto di vista di Zygmunt Bauman, filosofo polacco, viviamo tutti una vita “liquida”, “A precarious life, lived under conditions of constant uncertainty”. L’incertezza della precarietà vige sulle nostre vite moderne, in perpetuo cambiamento e composte da esperienze brevi ed effimere che non riescono a creare solide relazioni umane. Bauman usa il termine “liquido” per indicare che tutto è momentaneo, fluido, cangiante, ambiguo e precario. Dunque ad essere liquidi si rischia di andare attraverso l’ignoto, di non avere certezze e di essere soggetti a situazioni non familiari. Il rischio è quello di essere in perenne vulnerabilità, poiché non si ha nessun valore su cui aggrapparsi ne un gruppo a cui appartenere.
Ma questo è ciò che cerco con la mia arte, di non credere nelle teorie di Darwin, di non sentirmi umano, di non rispecchiarmi in un solo genere. Colui che entra nella mia performance è incerto, insicuro, ma allo stesso tempo attratto ed immerso in un nuovo mondo. Questo è ciò che comporta la fluidità, duplice senso di sconforto e realizzazione. 

La consapevolezza nel tuo lavoro è fondamentale. Nella ricerca, nel messaggio, sulla questione ambientale ed evolutiva. Cosa rappresenta per te la consapevolezza, cosa è e che tipo di consapevolezza vuoi offrire al tuo fruitore?

“So remember the liquid ground…”
– Marine Lover of Friedrich Nietzsche di Luce Irigaray –
Essere fluidi e liquidi per me vuol dire decentralizzare il concetto di “essere umano”. Quale è il nostro rapporto con la natura ed il resto delle creature? Vediamo la natura come un luogo distante, separato dalla nostra cultura, un luogo verde, pulito ed esotico. In realtà noi stessi siamo natura, è questo che manca nella nostra consapevolezza. Ignoriamo il resto del mondo e basiamo le nostre vite attorno ai nostri bisogni (antropocene). Diamo per scontato, per esempio, che l’acqua che beviamo proviene dalle riserve di casa, dalle nostre città, dimenticando il percorso che attraversa e le sue connotazioni sociali e storiche che la accompagnano.
Viviamo di relazioni fluide, bagnate ed umide, dall’oceano al rubinetto di casa. Donna Haraway dichiara un urgente bisogno di trasformare la struttura della società, dalla antropocene alla chtuhlucene – chtuhlu è un animale tentacolare. Bisogna dunque pensare “tentacolarmente” e non uniformemente, perché viviamo in una società liquida, dove nulla è saldo ne fermo ma tutto è cangiante ed in perenne cambiamento. Infine, Luce Irigaray, nelle sue sarcastiche lettere d’amore a Friedrich Nietzsche, invita a ricordarci – ad essere dunque consapevoli – che anche se viviamo in terra ferma, la terra è comunque liquida.

Quale scenario domani immagini per l’umanità? E l’arte dove sarà in questo futuro?

Dobbiamo espandere il concetto di essere umano, trovare nuovi habitat e creare un rapporto simbiotico con la natura. L’arte è un mezzo di protesta e di speranza, fare arte è un atto politico e l’artista è un attivista. Attraverso la mia arte promuovo un corpo umano in espansione e divenire, in contatto con la natura ed espansivo nei suoi rapporti con il non-umano. Essere umano vuol dire cercare nuovi confini e stabilire nuovi rapporti con ciò che è diverso, abitandolo e non rigettandolo. Fluidità, liquidità e potenzialità hanno bisogno di apertura mentale e di nuovi orizzonti umani, non di chiusure né di barriere.