trust the process per me significa LASCIARSI ANDARE.

Intervista a Davide Gallo

A cura di: Ginevra Corso, Nicola Brucoli, Carlo Settimio Battisti

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Programma è un brand italiano indipendente che unisce gli aspetti del design classico e minimale con l’utilizzo di stoffe ecologiche. Che significato ha per te Programma?

Potessi realmente rispondere a questa domanda avrei la capacità di creare senza entrare in conflitto con me stesso. Ma i conflitti sono alla base delle necessità. Fin quando persisterà un carattere indefinito in quello che penso, ci sarà spazio per cercare un tassello in più nel suo significato. Per adesso non so minimamente cosa stia facendo e che significato abbia, perseguo un processo.
C’è una frase che ripeto spesso ed è “trust the process”, per me significa lasciarsi andare perché ogni cosa ha un senso e fa parte di un disegno più ampio. Lo stesso accade per il design se si riesce a seguire il flusso delle idee. La scelta di quella più attinente come di quella più controversa determina il carattere di ogni idea ed il lessico del proprio linguaggio. Perseguire la semplicità è forse la scelta che faccio più inconsciamente, ma anche la sfida più complicata e spero sempre di esserle fedele fino alla fine; è pur vero che è concesso disubbidirle e portare dentro elementi discordanti nel dialogo. Sto capendo in questo processo che a volte devo inserire un bug che disturbi la linearità del codice che sto scrivendo. Le cose più interessanti sono gli imprevisti, i disturbi, le singolarità. Permettono di raccontare una storia in maniera più avvincente e intrattengono chi la legge.

L’ecologia gioca un ruolo fondamentale nella scelta dei tuoi materiali. Quando hai deciso di porre attenzione a questo aspetto e come pensi di svilupparlo? Questo tema è la sfida della moda del futuro?

Pensiamo all’eco-sostenibilità come un valore aggiunto, uno strumento, forse arriviamo a concepirlo, almeno a livello comunicativo, come accessorio, ma non saremo mai concretamente solidali con questo pianeta fintanto che non riusciremo a capire che il rispetto delle risorse e dell’ambiente deve essere un requisito.
È una questione di educazione. Chi non si pone in questo modo, nei confronti della progettazione prima e del mercato poi, deve essere considerato obsoleto senza mezzi termini. La sfida di tutti noi è rivalutare il capitalismo, l’industria del consumo e soprattutto il nostro modo di considerare le necessità. L’industria della moda è uno degli attori principali e deve essere consapevole del ruolo che recita. Ci sono sistemi produttivi eco-sostenibili, materie meno impattanti, filiere controllate e a noi resta la scelta di imboccare queste strade, tutto qua, non è una sfida è l’unica alternativa. Programma utilizza stoffe rigenerate e riciclate che attraversano una filiera produttiva controllata, e questo oggi è un aspetto che va rimarcato ma di cui non potersi più vantare.

Quanto, oggi, un brand di moda è ciò che comunica?

Viviamo nell’era delle immagini, ne siamo sommersi e vogliamo essere comunicazione prima che contenuto. Ovviamente, forse, ognuno vuole essere ciò che comunica ma il ritmo che viene imposto dal pubblico è asfissiante ed il rischio è sempre di non essere fedeli con se stessi. Credo che il fulcro comunicativo per un brand debba essere lo stile, il design, l’emozione ma anche l’etica, la filosofia, la consapevolezza del ruolo che esercita, l’attitudine comportamentale a tematiche importanti del presente. Ogni cosa che proponi è un messaggio che dai, ha un potere forte qualsiasi sia il bacino d’utenza e non deve essere sottovalutato.
L’abbigliamento dovrebbe essere solo abbigliamento, a volte ci penso: praticità, vestibilità, comodità, che altro dovremmo volere? Ed inoltre, non è abbastanza quello che già c’è? Poi però ti accorgi che ognuno di noi interpreta quello che fai in maniera strettamente personale e scopri che il dialogo tra le parti è una cosa più profonda del design stesso. Comunicazione, oltre quello che vuoi dire, è la risposta che ne scaturisce. Deve esserci sempre questo dialogo per mantenerci vivi, anche se questi sono solo vestiti.

Quali sono le difficoltà che incontra un giovane brand autoprodotto e senza compromessi come il tuo, in un contesto culturale ed economico come quello italiano?

Partendo da zero e provenendo da un altro campo, l’architettura, ammetto che si incontrano inevitabilmente enormi difficoltà. Il contesto economico/culturale attuale impone barriere spaventose per i designer indipendenti. Le attenzioni sono sovraesposte sulle grandi realtà e insufficientemente fiduciose su chi vuole fare poco ma in maniera genuina. Ogni volta che un’idea nasce dalla carta deve combattere per entrare in un mondo completamente differente, con altre leggi e regole.
Il sistema le impone. Inutile dire quanto sia impegnativa la costante lotta contro il tempo, inesorabile la sfida nella quadratura dei bilanci, fuorviante la gara ossessiva al tracciamento dei target. Ognuna di queste ed altre piccole e grandi sfide per un brand emergente appare come una montagna che ostacola un percorso, ma sono parte del processo. Nascono inesorabilmente dei compromessi e credo sia davvero impossibile non averne. Le idee che diventano prodotti sono questo. Per la me la differenza la fanno la qualità e l’etica. Non sogno di generare l’ennesima macchina produttiva che crea e spreca, sogno invece di poter esprimere idee anche in maniera silenziosa.